VALMADRERA – In occasione della Festa della Liberazione, ecco il discorso tenuto dal sindaco di Valmadrera Antonio Rusconi.
Consiglieri e assessori, mai come quest’anno ha un senso e un significato straordinario celebrare il 25 aprile, il valore della Resistenza, se il dovere di fare memoria evoca ricordare con uno scopo, mentre una guerra e un’aggressione militare con violenze e stragi ogni giorno ci ricorda il valore della pace e della democrazia.
E’ la voce di Caino – ci ha ricordato Papa Francesco – che è tornata a tuonare con le mani grondanti di sangue innocente ed è, come se la modernità, dimentica delle lezioni della storia, della barbarie dei campi di concentramento e delle fosse comuni, si fosse schierata dalla parte della morte, in quelle immagini quotidiane di violenza e pianti
Forse dunque oggi le parole evocatrici di un’altra tragedia assumono un valore più pregnante e questo è il primo compito del nostro appuntamento, qui: rievocare una tragedia, ma anche una conquista, la democrazia e una liberazione, riscoprire la Resistenza come movimento popolare, il valore a quasi 80 anni di distanza dall’Assemblea costituente, la scelta della Repubblica, lo sforzo di coesione di diverse culture democratiche che dal 1943 al 1948 collaborano per costituire le fondamenta di questo Paese, unite nella fiducia per la democrazia, nel lavoro per la dignità dell’uomo, nell’amore per la libertà.
Ha scritto un’interessante riflessione Fulvio De Giorgi:
“Davanti alla tragedia impensata della guerra infraeuropea tra Russia e Ucraina vengono in mente, con un impotente sentimento di sgomento, i versi di Quasimodo: «Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo». Nello svolgersi degli eventi, un repentino e travolgente universo di pensiero si è imposto tra di noi ed ha progressivamente sovrapposto sul senso morale di doveroso soccorso per il colpito e di aiuto umanitario all’aggredito, ha sovrapposto, dicevo, un impulso politico di schieramento dalla parte dell’aggredito per fermare l’aggressore. … Non una guerra fredda passiva, ma una guerra fredda attiva, che vuole colpire l’aggressore e vincere la guerra che l’aggressore, aggredendo, ha dichiarato… Siamo pertanto consapevoli che si tratta di riflessioni che si fondano su un terreno insicuro, accidentato e forse incerto: ma non ne abbiamo un altro.
In prima approssimazione, un modo adeguato per avviare la riflessione – come hanno fatto gli intellettuali più seri – può essere quello di prendere le mosse dalla stessa impostazione utilizzata da Max Weber per porre il problema del rapporto tra etica e politica (in un momento peraltro non facile per il suo paese, dopo la sconfitta bellica). Egli aveva allora distinto tra etica dei principi ed etica della responsabilità. L’etica dei principi che richiama, appunto, ai principi etici di fondo, che definiscono la nostra stessa identità – personale, collettiva, di civiltà – e ai quali non possiamo rinunciare, pena perdere l’anima, minare e distruggere noi stessi, appunto nella nostra identità essenziale. Questa etica si confronta con il male metafisico o – se si vuole –mira al bene ideale. Forma la nostra coscienza e ci orienta nel dovere di agire nel modo giusto, di fuggire il male e fare il bene. Secondo questa etica, la guerra è sempre un crimine. E allora, quando il male ci aggredisce con la violenza bellica, come dobbiamo reagire? A mio avviso – sia che siamo cristiani, e questa è anche la mia posizione, sia che abbiamo un’etica di cristianesimo laicizzato e secolarizzato – le possibilità sono tre: la prima è quella della non resistenza al male……; la seconda è quella della resistenza al male, ma senza violenza, non in modo armato e cruento, è la forma della resistenza popolare non violenta, è la “forma indiana” (perché fu quella di Gandhi); la terza è quella della resistenza armata al male, ma per raggiungere il bene anche di chi ti fa il male, è quella di chi combatte non per sopraffare ma per eliminare la guerra stessa, e perciò si pone il problema della “proporzionalità”, di evitare aggressioni che possano produrre reazioni gravi sulle popolazioni civili, di agire non sempre e comunque, ma nella misura in cui può prevedere un risultato positivo, è la“forma italiana” (dei partigiani cattolici, i ribelli per amore: Teresio Olivelli, Giuseppe Dossetti, Enrico Mattei)…
A fronte dell’etica dei principi, l’etica della responsabilità ci richiama alla doverosità del contenimento del male radicale (il male cioè che ha la sua radice nella stessa natura umana), in vista quindi non del bene ideale ma del maggior bene reale possibile, considerando l’insieme delle conseguenze dei comportamenti, per quanto siano prevedibili. La guerra appare come una catastrofe, nel senso di una sventura naturale (come un terremoto, un’inondazione: perché naturale è il male radicale). E allora in quest’ambito non si tratta di assumere la logica amico/nemico, ma di comportarsi immaginando che l’aggressore assuma la logica amico/nemico. Sarebbe bello che l’aggressore fosse sensibile all’ingiustizia; sarebbe bello se il suo cuore fosse ferito dalle sofferenze inferte e se la sua coscienza fosse mossa dalla resistenza nonviolenta: ma saremmo irresponsabili se programmassimo i nostri comportamenti assumendo la probabilità di orizzonti così ottimistici. No, ci vuole un pessimismo postulatorio. È quello che si chiama “realismo”. E dunque, realisticamente, se il fine è il contenimento del male, il fine giustifica i mezzi.
Un’ulteriore riflessione riguarda le caratteristiche dell’ordine mondiale nella sua “costituzione formale”, determinate dalla Seconda guerra mondiale e che permangono ancora. Ciò che era in gioco in tale conflitto non era un qualche ingrandimento territoriale: era in gioco il tipo di “ordine mondiale” che doveva prevalere.
La stessa Unione Europea – conclude De Giorgi – se non vuole essere un sotto-insieme subordinato della Nato, deve crescere in unità interna (e non far crescere le spese militari dei suoi membri) con la visione prospettica di un’unica Europa dall’Atlantico agli Urali. Come disse Aldo Moro, parlando alla XXVI sessione dell’Assemblea generale dell’ONU: «I grandi problemi che si pongono al mondo non sono suscettibili di soluzione attraverso il solo impegno, anche congiunto, delle grandi potenze. […]Né si può certo più ammettere che esistano ancora popoli che facciano la storia e altri che la subiscano […] Proprio cominciando a porre in essere un clima di fiducia e di cooperazione tra Stati vicini si può sperare di instaurare, progressivamente, un ordine migliore. La regola aurea della politica estera di altri tempi voleva che i nemici dei nostri vicini fossero i nostri amici. Tale regola è oggi sostituita in misura crescente dal principio: i nostri vicini devono essere nostri amici. […] Una simile opera potrà dare ai popoli d’Europa la possibilità di fare sentire più efficacemente la propria voce. È possibile che l’influenza così ritrovata possa riuscire dannosa a qualcuno? La risposta è: no. Essa non è diretta – e non sarà diretta– contro alcun popolo, bensì contro la guerra, il peso degli armamenti, la fame e il sottosviluppo, contro l’iniquità, contro tutto ciò che è suscettibile di impedire i contatti liberi e fecondi tra tutti gli uomini».
La Resistenza fu appunto una risposta civile, anche armata, ma per fare il bene e per il futuro di tutti i popoli.
Da quei valori nacque un’idea forte di Europa che voleva la pace e penso, a nome di tutti, ai sedici profughi ucraini, tra donne e bambini, ospitati oggi a Valmadrera dobbiamo offrire, oltre alla SOLIDARIETA’ concreta, anche la speranza viva della PACE.
E’ dunque fondamentale ritrovarci qui oggi, dopo due anni di pandemia, con le scuole, la Banda, l’ANPI, gli Alpini al cui capogruppo Mario Nasatti è così cara la figura di Teresio Olivelli, all’Associazione Famiglie Caduti e Dispersi in guerra alla cui Presidente, Emilia Dell’Oro, impossibilitata a partecipare, mando un saluto affettuoso e riconoscente.
Grazie a tutti voi per aver voluto questo 25 APRILE DI PACE.
Antonio Rusconi
Sindaco di Valmadrera